domenica 2 maggio 2021

Piccoli racconti di paese


Parla, questa favola, di un paese piccino piccino, ma non tanto piccino da essere definito anche picciò. Come tutti i paesi ha i suoi problemi, che sono piccini quando il paese è piccino, e sono grandi quando il paese è grande. E più sono grandi, i paesi, altrettanto grandi sono i suoi problemi. In questo racconto non vado a parlare dei grandi problemi dei grandi paesi: questi sono conosciuti da tutti poiché tutti, prima o poi, finiscono per parlarne. 
Dei piccoli problemi dei paesi piccini, a malapena se ne parla nel piccino paese stesso.
Perché non se ne parla, quando si sa che in un paese piccino si finisce per sapere tutto di tutti, e di tutto e di tutti si finisce per parlare e sparlare? 
Non se ne parla, sull'onda della filosofia nota come 'filosofia del ladro', che tanta galera ha evitato a ladri noti e conclamati: se tutti rubano, se tutti sono ladri, il ladro non esiste, e anche il furto finisce per apparire come attività corrente, coerente con un modo di vivere ormai generalizzato; con codici penali non aggiornati per mera pigrizia legislativa.
Nel paesino piccino di cui parlo succede che tutti sanno, e quando tutti sanno nessuno sa; esce dallo spettegolìo tipico dei piccoli paesi per entrare in una quotidianità che smorza ogni argomento di chiacchiera.
Ma perché "favola, senza capo né coda"? Per tutte le favole l'incipit "C'era una volta..." è quasi d'obbligo.
E quel c'era una volta è un passato senza tempo, può indicare la storia di un un dinosauro come il racconto di un castello con re regine e principi, oppure spaziare nei mondi delle fate... in pratica non hanno un inizio, un 'capo'. E questo mio racconto, in effetti, capo non ha; va a ritroso nel tempo, senza riuscire a trovare un punto di partenza definito.
Le stesse fiabe, hanno un finale che di solito collima con un "... e vissero a lungo felici e contenti", che conclude felicemente i racconti, per paurosi che possano essere. Qui, quel finale non c'è, si tratta di una chiusura di fiaba che resta aperta. Al limite si potrebbe lasciare un tronco "e vissero". Fortunosamente...
Ed ecco perché si presenta senza coda, senza chiusura, senza una fine.
E passo al racconto diretto di questa favola che, per coerenza con quanto detto, favola non è.
La figura dell'introduzione è divisa in due parti: la prima, a sinistra, è una fotografia scattata circa un'ora dopo un incidente automobilistico; la seconda, a destra, è stata scattata il giorno successivo, quando si vede chiaramente l'intervento di tecnici, con transenne provvisorie in attesa del ripristino della stessa ringhiera danneggiata vista nella prima immagine.
Chi legge apprezzerà subito la prontezza dell'intervento, che sicuramente è stato fatto poco dopo quell'incidente, non appena l'ambulanza e il carro attrezzi avevano liberato la carreggiata. Una prontezza ammirevole... ma non così favolosa da essere considerata base non dico di una favola, ma neanche di un semplice racconto.
Ma... tra la prima fotografia e la seconda sono trascorsi poco più di cinque anni. Detta così, il disappunto del lettore smaliziato sarebbe giustificato: lo avrei indotto a pensare che tra l'incidente e la messa in opera delle transenne siano passati circa cinque anni. E non è così: in entrambi i casi gli interventi sono stati puntuali e precisi, e l'incidente ultimo risale a pochi giorni fa.
La ragazza autista all'ospedale e la vettura in carrozzeria. Come sempre succede nei sinistri.
D'altra parte solo le favole riescono a stupire, a far vedere cose e fatti altrimenti non credibili. All'asino che vola ci abbiamo creduto tutti, a una giustizia giusta per tutti, a una politica pulita per tutti, a una sanità sanante uguale per tutti, al rospo che diventa principe dopo un bacio, ecc. ecc. ... ci siamo cascati tutti, e su alcune delle voci accennate ancora ci caschiamo.
Qui comincia la mia favola vera, con una breve infarinata sul territorio di questo paese piccino che, intanto, come estensione territoriale tanto piccino proprio non è. Si divide in tre zone distinte e separate, più una zona che definisco 'limbo': c'è una zona marina, sviluppatasi negli ultimi cinquant'anni, c'è un borgo antico e c'è una zona montana. Quello che ho definito limbo è una zona di transito, cordone ombelicale tra la marina e il borgo, che a sua volta è transito obbligato verso le zone montane. La marina è la più popolosa, la più sviluppata ed è praticamente il fulcro su cui ruota tutta l'economia locale; giustamente 'gode' di una tassazione più gravosa e di maggiori attenzioni da parte di chi governa il territorio. Sia il borgo che la zona montana a loro volta sono favoriti da tasse alleggerite, per via del tentativo di frenare la riduzione graduale e costante degli abitanti, per limitarne la scesa alla marina o la migrazione verso altri lidi. Il 'limbo', trovandosi in una via di mezzo, 'gode' della tassazione della marina senza ricevere le attenzioni riservate al borgo e ai monti.
I punti d'incontro sul territorio non mancano: bar, servizi di ristoro, farmacie, edicole (nel tempo ridottesi ad una, visto il basso indice di lettura ormai consolidato e lo sviluppo dell'on line), chiese e altre attività commerciali. Tutte a gestione privata o, nel caso delle chiese, religiosa. Il camposanto, poi, è il punto d'incontro più affollato, definitivo, se i morti parlassero le notti sarebbero un cicaleccio ininterrotto, spaziante sul passato, sul presente e, forse, sul futuro.
C'è un solo "punto d'impatto", uno solo, uno soltanto in tutto il territorio, nel suo complesso, ed è curato dal Comune. Dovrebbe essere curato dal Comune...
Ed è quello malamente stilizzato nell'immagine qui a fianco. Quelle in apertura si sono verificate tutte nel cerchietto; sempre e solo in quello spazio. Non sono immagini straordinarie di fatti straordinari: sono immagini ricorrenti che giustificano ampiamente la stesura di questa favola e non sono limitabili al quinquennio accennato.
Questo punto d'impatto si trova all'entrata di un sovrappasso ferroviario, con uno sviluppo stradale ad S rovesciata, con due curve, una d'entrata e una controcurva d'uscita dopo una cinquantina di metri di rettilineo, invertibili a seconda che ci si inoltri venendo da nord o salendo da sud. Due curve normalissime, ufficialmente non pericolose, oserei definire dolcemente curvanti; un idraulico le definirebbe a malapena semicurve. Alle due entrate non ci sono segnali di 'curva pericolosa', poiché in effetti pericolose non sono. 
Meglio: non 'sarebbero' pericolose. Eppure almeno tre/quattro volte all'anno, il punto segnato viene baciato e abbracciato da autovetture che ogni volta rischiano di volare nella sottostante ferrovia. A questo si riferiva il mio eventuale, tronco, "e vissero". Infatti chiunque abbia avuto la ventura di impattare contro quella ringhiera, riportando danni lievi alla persona, porta un cero alla chiesa per grazia ricevuta. I carrozzieri, anch'essi, portano un altro cero, per lavoro ricevuto; e si tratta sempre di ceri grandi per lavori con fattura pesante. Un altro artigiano che ringrazia è quello che provvede ogni volta al ripristino della ringhiera. Le assicurazioni pagano, senza ringraziare; al rinnovo della polizza le vittime si trovano il premio rincarato per un sinistro a torto del quale non hanno idea su chi maledire.
Batte il racconto sull'unicità di questo punto d'infausto impatto. Per come descritto il territorio, è facile evincere che le strade non mancano, le curve con controcurve non si possono contare, incroci, salite e discese... tutto regolarmente asfaltato, anche quelle di montagna che, in teoria, dovrebbero essere più pericolose, soprattutto nei periodi autunnali e invernali. Niente, mai un incidente degno di essere definito tale. Qualche leggero urto nei parcheggi,  qualche salto di marciapiede: disattenzioni, imperizia, ma niente di che. I vigili, solo per questi, finirebbero per ingrassare negli uffici, causa sedentarietà, magari leggendo le favole di Calvino per passare il tempo in alternativa al noioso girar di pollici.
Questa è la scena che si presenta dopo ogni impattata:
una scena comune a ogni comune incidente stradale, che può passare nel dimenticatoio quando si tratta di accidente sporadico. Quando si verifica, come detto, tre/quattro volte nel corso dello stesso anno, per anni ed anni, nello stesso identico punto, finisce per imprimersi nella mente, come le poesie ripetute fino alla nausea alle elementari di un tempo lontano. 
Da notare che questi sinistri non avvengono per sorpassi azzardati o per eccessi di velocità, che la dolcezza delle curve potrebbe far supporre. 
Vale la pena di ripetere che tutti, tutti e ancora tutti, questi incidenti si risolvono esclusivamente in quel punto, non metri prima né metri dopo.
Torniamo a quanto accennato in merito al paesino in cui tutti sanno e nessuno sa.
In effetti quello che si sa sono chiacchiere, passaparola modificati a ogni passaggio di voce. Ma c'è chi si sa che sa, e sono gli archivi della polizia municipale. A ogni sinistro, oltre l'ambulanza e i curiosi, gli agenti del comune arrivano prontamente, verbalizzano, prendono i dati della vettura e della vittima, quelli dell'assicurazione, eventuali testimoni... tutte operazioni che sono diventate talmente di routine che al malignetto viene il dubbio che, fatti salvi gli aggiornamenti dei dati e delle date, questi abbiano una modulistica prestampata specifica per questi interventi.
Le modalità sono sempre le stesse: poche gocce di pioggia che picchiano, affatto argentine, sull'asfalto e l'incidente è garantito. L'asfalto è perfetto, fosse in piano ci si potrebbe giocare a biliardo. Eppure le vetture, in quel punto preciso, si trovano in un testa-coda che le sbatte contro il marciapiede, glielo fa superare, urtando con violenza contro la ringhiera protettiva e rimbalzando poi sulla carreggiata, solitamente con il frontale e almeno una fiancata sfasciate, rivolte verso la direzione di provenienza.
Per stare nella favola, verrebbe da pensare che qualche mago cattivo o qualche strega abbiano lanciato una maledizione a quel punto di quella strada, ma quelle deliziose malizie infantili sono state cancellate da decenni di verità svelate forse con troppa sollecitudine da una cinica tecnologia galoppante. Restando sul fiabesco, questa vorrebbe che fattucchiere, streghe, maghi e santoni fossero intervenuti con intrugli e filastrocche magiche a svelare e magari fermare la maledizione; non risulta che abbiano provato, evidentemente le loro pozioni non attecchiscono sugli asfalti e sulle ringhiere di ferro. E neanche le benedizioni del parroco, che ha i poteri limitati di un prevosto di paese. Quanto al vescovo esorcista è troppo fuori mano e troppo impegnato a sanare gli umani che, oggi più che mai, danno fuori di testa; inoltre potrebbe risultare offensivo chiedergli di intervenire su oggetti presumibilmente non senzienti.
C'è una teoria che circola, raccontata come barzelletta, che potrebbe avere una sua propria credibilità e che, forse proprio per questo, è tenuta in non cale da chi dovrebbe e potrebbe metterla in atto.
Come detto, la strada è perfetta in tutto il suo sviluppo. Forse è troppo perfetta nel tratto oggetto di questo racconto: una bitumatura eseguita senza seguire le norme di idraulica stradale che prevedono lo spargimento di graniglia sopra lo strato di bitume, con passaggio successivo del rullo compressore con pressione limitata. Per consentire il drenaggio delle acque piovane e lo smaltimento dei grassi che si accumulano sotto il manto stradale vero e proprio.
La strada è in leggera e dolce salita per superare il dislivello che dalla base sale verso il ponte. Quando la pioggia è abbondante, l'acqua scorre spingendo verso il basso quanto si trova in superficie. Quando, invece, più che di pioggia quello che scende dal cielo sono lacrime (o altro) d'uccello, l'asfalto assorbe quel poco liquido spingendo in superficie, per effetto del noto fenomeno fisico, quei grassi oleosi che la scarsa precipitazione consente di sedimentare, rendendo quel tratto particolarmente scivoloso soprattutto per vetture di peso limitato, come le cosiddette utilitarie.
Ma tutto tace, non si capisce se la manutenzione di quella strada sia competenza del comune o della provincia, e nel frattempo i sinistri da eccezionali sono diventati periodici... in attesa che, come s'usa dire, ci scappi il morto. Magari precipitando sulle rotaie sottostanti, meglio se impattando con un treno in transito. Una pubblicità gratuita sui media, con probabile ciceronaggio dei curiosi che verrebbero a frotte a visionare il luogo della tragedia.
A quel punto, forse, l'intervento della magistratura sarebbe un atto, finalmente, dovuto e, sempre forse, il problema finirebbe per essere risolto.
Come tutte le favole, anche questa ha una morale: se piove a catinelle su quel sovrapasso andateci tranquilli; se pioviggina cambiate strada, come per le curve si trova sempre una controcurva, così a un sovrapasso, per simpatia, corrisponde un sottopasso, da cui non è possibile precipitare; magari allungando un po' il percorso, ma... evitando il rischio di essere l'unica vittima prevista sul milione di possibilità di un volo in una strada ferrata.   
 

5 commenti:

  1. "SESTO SENSO"

    Lui non era mai stato lì
    Conosceva i luoghi
    Sapeva quale strada percorrere
    Ma niente di più.

    Degli incidenti
    Di quella maledetta curva
    Non sa nulla
    Lui non legge le pagine locali
    Spesso il suo lavoro
    Lo porta altrove
    Ma domani
    Domani il destino
    Lo avrebbe fatto passsre
    Proprio di lì.

    Passa la giornata
    Tranquilla
    Quasi monotona
    Ma il tempo scorre
    Ed inevitabilmente
    Ecco sorgente la mattina seguente.

    Si alza nervosamente
    Un incubo notturno
    Lui che muore in quella curva
    Curva per lui sconosciuta
    Di cui non conosce
    La sua triste fama.

    Nel sogno
    Lui ormai privo di vita
    Sente parlare
    I soccorritori
    "È già il sesto morto
    Eppure giornali e blog
    Ne scrivono"
    Ma quello che più lo colpisce
    È un ricordo
    Poco prima dell'impatto

    Un gatto nero
    Sul ciglio della strada
    Con un cartello che recita:
    "LEGGIMI"

    Lui ora è sveglio
    Ma quell'incubo
    Lo ha vivido nella sua mente
    E soprattutto ricorda
    Con insistenza
    Quell'avviso del gatto nero.

    Chiamatelo intuito
    Sesto senso
    Destino
    Lui va su internet
    E scrive senza una
    Apparente ragione
    " CURVA MORTALE E GATTONERO"

    Lancia la ricerca
    E per un attimo
    Per una infinitesimale frazione di secondo
    Ha un gesto di stizza
    Per l'errore di battitura
    Ma è giusto il tempo
    Di un respiro
    Poi trova il link
    Ad un blog "Gattonero"
    Lo apre legge il post
    E capisce
    Capisce il rischio
    E comprende quel suo strano sogno

    Quel giorno
    Prese una strada diversa
    Tutto andò bene.

    Al suo rientro a casa
    Abbraccia la sua famiglia
    Racconta loro tutto quanto
    E si stringono
    In un abbraccio liberatorio.

    Poi
    Accende il computer
    Va su quel blog
    E commenta quel post
    Con il volto
    Ancora solcato dalle lacrime
    Scrivendo una sola parola:
    "GRAZIE"

    DANIELE VERZETTI ROCKPOETA

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, poesia bellissima, come tutte le tue. Me la porto si facebook, con la speranza che chi sa la legga e si metta in moto per rimediare. Grazie ancora e un abbraccio.

      Elimina
  2. Chiedimi l'amicizia si fb se vuoi. Spero possa essere utile

    RispondiElimina
  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina