domenica 14 marzo 2021

"Il testamento cangiante"

Ogni libro di Pezzoli ha caratteristiche sue proprie, che in qualche caso si riallacciano ad altri suoi pubblicati senza esserne prosecuzione. Ha messo al mondo tante creature, ognuna delle quali è opera a sé, nelle trame, nella stesura dei racconti, nell'esposizione complessiva.
In alcune emergono simiglianze di personaggi che peraltro si adeguano ad età che avanzano, a situazioni via via aggiornate, a nuove visualizzazioni (più esattamente a visioni), che li rendono sempre attuali.
E ogni libro ha una sua propria impronta, diversamente godibile, che richiede valutazioni singole: ciascuno trova una sua collocazione precisa, un sigillo che lo rende migliore nel suo specifico. Per dire, l'Autore nella presentazione di questo ultimo, si lancia nella definizione del suo essere il 'più' tra quelli finora editati; e qui non sono d'accordo: il migliore dei suoi pargoli, secondo il mio personalissimo parere, resta Agonia di una fata e altri sfaceli. Per fatti miei, credo che resterà il più meglio di tutta la sua produzione, precedente e successiva; e, visto che il lettore è comunque un cliente, mi appello al fatto che questo ha sempre ragione, e passo quindi alla lettura di questo 'Testamento cangiante'. 
Però, prima che del libro, devo fare un doveroso richiamo alla sua copertina, quella che solitamente si cita distrattamente al termine delle letture dei testi. Qui la mitica Lucia Luce ha in pratica dato l'avvio anticipato al racconto, mettendo questa sua immagine, e su ogni capitolo, come un'impronta felina, quasi materializzando gli ambienti in cui il racconto evolve. Originale il nome dell'Autore, segnalato in un patois simil arabo, con la traduzione incisa sullo stipite esterno dell'arco, una specie di stele di Rosetta d'oggidì. 
Una buona parte di questo Testamento mi ha portato alla mente il Murakami di Kafka sulla spiaggia, forse  da attribuire all'amore dei due (tre con Lucia) verso i gatti, ma non solo per quello. Spero che nessuno dei due Autori si offenda per l'accostamento di due stili che, personalissimi entrambi, mi sono trovato, magari impropriamente, a sovrapporre.
Nel testo, Pezzoli fa entrare in scena un personaggio, che recita la sua parte ed esce di scena; per far posto ad un altro protagonista che, a sua volta, entra in scena, recita e si allontana.
Forse il non cercato accostamento a Murakami, è venuto proprio da questo alternarsi sulla scena dei due che, per tutta una parte del libro, apparentemente non hanno nulla in comune, presentati come fetta biscottata in confezione singola; che, sgranocchiata, fa posto ad un'altra, senza presumibili possibili contiguità. Volendo, sarebbe possibile saltare dal primo capitolo al terzo, e agli altri dispari, per avere davanti l'assemblaggio completo del primo attore; stessa cosa per quella dei capitoli pari per l'altra protagonista.
Il racconto ha le sue basi sul silenzio, del quale i due hanno fatto virtù. Un tacere che consente a uno di meglio vedere quanto lo circonda, e all'altra di meglio ascoltare le voci trasformandole in un gioco paravisivo.  
E i due sono da Nicola letteralmente scarnificati, spogliati, rivestiti, vivisezionati nei corpi, nei pensieri, nei sogni, nei desideri, in due modi diversi di vedere il mondo da cui entrambi sono circondati; alla recita muta dell'uno contrappone l'ascoltare creativo dell'altra. 
Due puzzle da completare in fasi alterne, facendo attenzione a non mescolarne i tasselli. Una volta completati, come per magia saranno sovrapposti uno all'altro, apparendo incredibilmente uguali pur mantenendo identità separate. 
Un binario, con le due rotaie che viaggiano parallele, con Nicola che si presta a fare da traversina che le distanzia una dall'altra e nel contempo le unisce. Fino a che, lungo il tragitto, decide di accavallarle, senza peraltro farle mai combaciare tra loro. Emerge, in questo suo giocare, una sottile vena di sadismo, vedere ma non toccare, ascoltare senza dialogare. I sogni di un lui legati al proprio mestiere e quelli di una lei alimentati da suoni e voci ignote: un muto che parla, inconsapevole, a una che del solo ascolto ha fatto professione.
Gli altri due personaggi presenti nell'opera appaiono come integrativi del racconto, un completamento dovuto a sogni, sviluppati nel corso di giorni e notti brumose, che la Londra di Dickens se le sogna.
Devo chiarire, almeno parzialmente, quanto detto nella parte relativa al migliore prodotto letterario di Pezzoli; l'Agonia resta per me il migliore, ma nel giudizio pesano emozioni che poco hanno a che fare con lo stile nicoliano (o nicolesco?), vanno oltre. 
Qui, nel Testamento, il prosieguo della lettura offre emozioni scritturali, a mio avviso inedite, che in effetti lo rendono particolarmente "liscio", scorrevole, avvincente nella mai finita scoperta di emozioni stilistiche che solo un grande scrittore sa elargire, con una dovizia che lo rende filantropo culturale diversamente umile... solo che si abbia l'accortezza di leggerlo immergendosi nei due personaggi principali ogni qualvolta si presentino sulla scena, seguendone con attenzione ogni pensiero, ogni visione e ogni singola azione.
Va da sé che non mi addentro nella descrizione di una trama che merita di essere goduta ad personam, in lettura diretta, fino alla fine... e pure oltre.

Ogni concione, ogni omelia, ogni favola, ogni romanzo, alla fin dell'avventura lasciano una morale. Il Testamento la offre più come considerazione che come morale vera e propria. In pratica, preso atto che (mai come oggi) del doman non v'è certezza, invita a non lasciare questo suolo ameno senza affidare a due righe le ultime volontà; quelle che volgarmente sono definite testamento, appunto. Può succedere, e succede, che alla fin di propria vita non ci siano parenti, amici, conoscenti, confraternite... neanche un gatto randagio o una tartarughina d'acqua dolce, cui lasciare (comunque a malincuore) l'eredità di beni accumulati, ma anche accatastati, nel corso di una vita. Quello che si lascia finirebbe in mano allo Stato, che curerebbe questi beni né più né meno di come cura gli altri tesori che la Storia gli ha affidato. Quando va bene spazzatura, manco riciclabile...
Alternativa a questo, potrebbe essere di destinare a uno sconosciuto ogni cosa, buona che sia o meno buona. E, tra i tanti sconosciuti, la scelta potrebbe cadere, ad esempio, sulla dirimpettaia ciospa che è stata accuratamente a lungo evitata, magari perché ritenuta troppo fetecchia per meritare l'attenzione di chi, in vita, aveva ben altri progetti e sogni in itinere. Questa, accettata l'eredità, potrebbe finalmente prendere atto che non tutto il mondo è bastardo, come lei fino a poco prima credeva. 
E come invece in effetti è. 

3 commenti:

  1. Forse potrò sembrarti ruffiano (in fondo noi scrittoracci siamo gentaglia che colleziona difetti, fra cui la ruffianaggine non manca) ma devo dire in tutta sincerità che questa è una delle migliori e più sapienti recensioni di miei libri che abbia mai letto. Ovviamente, perché nasconderlo?, mi inorgoglisce: di solito le recensioni preziose riguardano libri preziosi. Grazie! E già che sono in vena di ringraziamenti, ri-ringrazio Lucia Luce per la splendida foto in copertina

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  2. p.s. Misterioso e incredibile (come misterioso e incredibile è tutto ciò che riguarda la Scrittura) il fatto che io non pensassi mai (non a livello conscio) al grande Murakami mentre scrivevo questo romanzo, mentre mi sta capitando di pensarci per alcune situazioni e personaggi dell'appena iniziato romanzo successivo... "Kafka sulla spiaggia" (bellissimo!) è comunque stata una mia lettura molto recente, e inevitabilmente ne risuonava qualche eco nella mia anima

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    1. Bene, non crogiolarti troppo e vatti a inseminare per il prossimo.
      Ciao e forza Inter... il Toro è perso, ma "soffro" atrocemente per la vecchia troia, il che mi consola.

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