mercoledì 11 marzo 2020

Danni collaterali

Una delle conseguenze del Covid-19 è il danno economico che questo malanno sta causando, il cui peso emergerà più chiaramente quando l'emergenza sanitaria sarà finita.
Emergenza economica che, comunque, già si rileva pur se ancora in fase embrionale.
Le varie associazioni che difendono gli interessi delle singole categorie già tirano giù i conti cominciando, in ordine sparso, a chiedere al governo sovvenzioni a sostegno dei propri iscritti o genericamente collegati ad esse.
La prima categoria a chiedere un intervento immediato è quella del commercio, al minuto e all'ingrosso.
Gli uffici preposti stanno lavorando ad un elaborato che dovrebbe dare fiato a coloro che dal virus hanno subito danni diretti.
La chiusura di esercizi è all'ordine del giorno e supera di gran lunga non solo la lista dei decessi ma financo quella dei contagiati, sintomatici e asintomatici.
La proposta iniziale degli uffici preposti alla valutazione del danno collaterale subito si articolerebbe su un ragionamento che pare non faccia una grinza. Tendente a unificare sotto una singola formula le quantificazioni via via presentate per danno subito.
La formula è molto semplice.
Per ogni richiesta di sostegno, o supporto alla ripresa, verrebbe valutata la denuncia dei redditi degli ultimi dieci anni; il totale sarebbe diviso per dieci per ottenere una media ponderata del reddito dichiarato. Infine questa media sarebbe divisa per 365/366 e poi moltiplicata per il numero di giorni di chiusura o altro danno subito.
Si conterebbe così di ridurre sensibilmente eventuali richieste che esulano da quello che fu il guadagno realizzato in tempi, non dico rosei, ma perlomeno relativamente calmi.
Infatti, se a fronte di richieste di danno autovalutate in 10.000 € a settimana, dovesse emergere una dichiarazione di guadagno medio annuo di 20.000 €, i conti non tornerebbero.
Senza andare a sfruculiare su come, a fronte di guadagni prossimi alla soglia di povertà, con queste cifre siano stati possibili acquisti immobiliari, per investimento o per allargamento dell'attività,  cambio auto, spese fuori sede per figli universitari, qualche vacanza esotica o perlomeno una crocierina ogni tanto, e altre spesucce che, con pari cifra (ma tassata alla fonte) nessun dipendente si sognerebbe di affrontare.

Il primo accenno, non ancora bozza, di questo studio è stato immediatamente contestato dalle associazioni; sulla base di quali sottili ragionamenti non è dato sapere, segreto d'ufficio, privacy, dicono gli addetti ai lavori.
In una specie di controproposta, le associazioni hanno avanzato l'ipotesi di accorpare ai loro guadagni autonomamente dichiarati (e supportati dalla parola d'onore sulla veridicità dei dati forniti) quelli dei dipendenti fissi, di quelli stagionali e anche di quelli a chiamata giornaliera.
Precisando che, sia dei loro che di questi, fosse preso in carico il lordo imponibile, senza tener conto delle detrazioni che, con l'aiuto di commercialisti addottorati, hanno falcidiato il loro guadagno effettivo ufficialmente dichiarato. Avendo i dipendenti, tolta qualche spesa sanitaria ammessa e senza l'aiuto di tributaristi, goduto appieno dei soldi in entrata.
Se questa tesi riuscisse ad essere credibile e fattibile, la perdita subita avrebbe tutt'altro peso, e tutt'altro peso avrebbe il relativo risarcimento per il danno subito.
E finirà per passare, troppo fuori dalla logica per non passare.

(L'invito pressante a "stare a casa" concede ritagli di tempo per pensare, e tra quei ritagli ogni tanto emerge l'esame di una situazione straniante, per cui, in attesa che la parte sanitaria si risolva, elucubrare qualcosa aiuta a passare il tempo. Ovviamente non sono in corso gli studi citati, ovviamente sull'onestà dei contribuenti autonomi non ci piove, ovviamente alla fine di tutto ci saranno furbi che rideranno. Mai successo, ma, si sa, a tutto c'è sempre una prima volta).



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