Siamo in un tunnel,
il varco all'entrata si è chiuso,
quello d'uscita è lontano,
un lontano quasi infinito.
La guardo negli occhi,
le parlo mi ascolta,
ma non riesce a capirmi.
Mi guarda negli occhi,
mi parla la ascolto,
ma non riesco a capirla.
La chiamo per nome,
lo grido,
è come un urlo sott'acqua:
si frantuma in mille bolle,
piene di silenzio.
Una parete di cristallo
ci divide;
siamo di fronte l'uno all'altra,
le braccia tese,
a chiedere aiuto le sue,
impotenti a darlo le mie.
Universi paralleli,
divisi da un velo,
impenetrabile.
Ogni tanto una luce
illumina l'antro,
una fiammella
un fuoco fatuo
una stella cadente,
un breve lampo
e la speranza si spegne.
Al ritorno del buio
fisso l'oscurità,
in attesa
che altra luce s'accenda.
Rassegnarsi alla morte
fa parte della vita,
rassegnarsi alla vita,
a questa vita,
è un peso che schiaccia,
la tegola iniziale
divenuta macigno.
Da portare,
fino alla fine
di questa galleria,
senza più entrata
forse senza più uscita.
Riaffiorano intanto
i mille "perché"
d'un'infanzia lontana:
domande,
come allora senza risposta.