sabato 31 luglio 2010

La chioccia: presentazione

La chioccia era l'Azienda.
Il pollaio, la sede principale dell'Azienda.
Era un pollaio molto aperto.
Al suo interno viveva un po' tutto il regno animale: ovini, bovini, porcini, beduini...
Il grosso, però, era rappresentato dal pollame: galletti e gallinelle, capponi e faraone, polli e tacchini, papaveri e papere, oche e campidoglio, eccetera eccetera.
Tutti razzolavano, i razzolanti, in questo pollaio.
Gli altri, i non razzolanti, studiavano il modo di salire, salire, salire...
Puntavano ai vertici...
Verso, e magari oltre, la chioccia.
In questo zoo poteva mancare un gatto?
Certo che no; almeno un rappresentante del genere felino, doveva esserci.
Ed è il cronista che riscalda vieppiù le vostre già bollenti serate estive.
C'era uno sparuto gruppo di pollastri, destinati alla cura degli interessi della chioccia, lontani dai confini del pollaio.
A questi era stato aggregato il micio.
Questi eroi erano scelti in base a due considerazioni di base:
a) rompevano le palle, e la chioccia (influenzata da 'nessuno tocchi caino'), anziché farli mettere in pentola, aveva scelto di allontanarli, sia per salvargli la pelle che, appunto, per toglierseli dalle palle; pseudo-sindacalisti caduti in disgrazia; nullafacenti, spediti a nullafacere lontano dagli occhi, anche per evitare cattivi esempi agli stakanovisti interni, ecc.
b) erano più o meno bravi, comunque ritenuti degni di rappresentare la chioccia lontano dal pollaio.
Dei primi c'è poco da dire: salvata la pelle, lontani dal pollaio, si erano dati all'ingrasso.
Un fatto penoso, forse, ma, per essere messo in atto da pollastri, astuto.
I secondi, quelli della b), rientravano perloppiù nella norma; intelligenza e capacità sopportabili, no rottura di palle, no lampi di genio, che comunque lontani dal pollaio sarebbero stati peti a perdere, nelle migliaia di chilometri quadrati di territorio in cui erano dispersi.
Di questo secondo gruppo faceva parte il gatto cronista, che vi racconterà cose e fatti che forse già conoscete, ma che potrebbero risultare indispensabili per il proseguimento della vostra monotona esistenza.
Fisicamente era più o meno; giovane più o meno; intelligente più o meno; attivo più o meno; socialmente utile più o meno; miope più o meno...
Insomma era un gatto "più o meno".
E poiché in questi mesi ha imparato a conoscere i suoi lettori, tutti scafati e senza prosciutto sugli occhi, ritiene opportuno precisare che il "più", in questo suo rapido profilo, è presente per via della par condicio. Il "meno" aveva il sopravvento abbondante nel suo bagaglio personale; esclusa la miopia: in quella il "più" vinceva alla grande.
Non poteva rientrare nel novero di quelli allontanati dal pollaio, quelli del punto a), perché era stato pescato all'esterno, scelto tra centinaia di aspiranti, sicuramente più meritevoli; proveniva da esperienze precedenti, che pare lo avessero valorizzato "più" che svalorizzato "meno".
O forse la chioccia era più miope di lui, e nello sceglierlo aveva momentaneamente posato gli occhiali.
Nonostante ciò, credeva di essere il the best del gruppo operativo esterno.
C'era un piccolo problema: per evitare invidie, accidie, clamidie, il fatto di essere il migliore era talmente segreto, che solo questo vostro gatto ne era a conoscenza.
Per tutti, nonostante le quattro zampe e la coda eolica, era un pollo come gli altri e basta.
Come tutti gli altri, compresi quelli che adagiavano le terga sulle sedie (i tacchini sulle poltrone) per sette/otto ore al giorno; come gli impiegati di tutto il mondo.

(Questo gatto, sta ancora studiando come immettere in un proverbio la sua modestia, da tramandare ai posteri; niente come i proverbi è duro a morire, e con un proverbio azzeccato si trova l'eternità).


segue... fra poco

L'AQUILA DAY 31 LUGLIO 2010

BASTA PAROLE!

L'AQUILA

L'ABRUZZO

L'ITALIA

VOGLIONO I FATTI!

CHI DEVE, FACCIA!

E' PASSATO UN ANNO E MEZZO!

mercoledì 28 luglio 2010

Eco(logico)

Avevo acquistato due fette di giardino adiacente casa e dopo l'acquisto, la pulizia e la preparazione del terreno il primo passo era stato la sistemazione di un bombolone di gpl, lontano da casa e al riparo del terrazzato divisorio delle due strisce. 
Il metano era ancora lontano; era presente solo la pubblicità, quella che "ti dà una mano". 
Per le necessità di casa avevo una bombola di propano da 25 litri, piazzata all'esterno, nel piccolo giardinetto già abbinato all'abitazione. Le armi in genere non mi piacciono (al massimo mi concedo le freccette o i fucilini ai tirassegno delle fiere), e avere una 'bomba' accanto casa non rientrava nei miei sogni proibiti. 
Una volta a regime, il bombolone mi garantiva l'acqua calda dei sanitari e quella per le varie pulizie, nonché, in seguito, il riscaldamento invernale. Aveva solo un difetto: tendeva a vuotarsi in coincidenza con gli aumenti del gpl, e ogni nuovo pieno era diventato una donazione di sangue. 
Della bombola di propano avevo recuperato l'ultima cauzione del vuoto: eliminata. 
In soggiorno avevo un caminetto d'angolo, a legna, aperto su due lati. Faceva molto romantico quando era acceso, ma riscaldava solo quella sala. Le altre stanze succhiavano il gas. 
Era utile per abbrustolire le salsicce o le fette di formaggio (bruciacchiate sui bordi, sono una bontà), o per cuocere lentamente i fagioli dentro l'orcetto di terracotta. All'antica... 
In seguito avevo puntato un termocamino; eliminato il vecchio caminetto, al suo posto avevo piazzato il nuovo acquisto. Collegato sia all'acqua calda dei servizi che al riscaldamento invernale. 
Termocamino a legna; le cosiddette pellets vennero successivamente, ma se anche ci fossero state non sarei mai diventato pellets-dipendente. Questo pur benemerito prodotto non ha la poesia dei ceppi ardenti, che danno calore all'ambiente e un senso di serenità di cui oggi, più che mai, si sente il bisogno.
Un'alba, un tramonto e un caminetto acceso attenuano lo sconforto di un mondo che va a ramengo. 
Per l'alimentazione del nuovo acquisto: una camionata all'anno di legno di ontano, che ha il pregio, intanto, di costare poco; inoltre è un legno leggero, niente pregiato, poco richiesto, quindi con un prezzo stabilmente sopportabile, nonostante il passare degli anni. Credo sia uno dei pochi prodotti che non si è mosso di un centesimo, né quando era in lire né con l'avvento dell'euro. 
Inoltre fa una bella fiamma, che è quanto chiede l'apparecchio. 
Per integrare la legna acquistata, d'estate, prima di rientrare a casa passo dalle parti di un negozio di frutta e verdura, e carico in macchina le cassette di legno, che sono, incredibilmente, a perdere. Ricevo il grazie sentito della fruttaiola, visto che la raccolta rifiuti passa quando passa, e se non le liberassi lo spiazzetto prospiciente il negozio, in due giorni si troverebbe sommersa di vuoti inutili. 
Al mattino, mi metto in un angolo del giardino, una panchetta per sedermi e una tenaglietta, e dedico un'oretta del mio tempo, affatto prezioso, alla sfascio di queste. Ridotte a brandelli e sistemate dentro  cassette più capaci, all'arrivo dell'inverno sono pronte sia per una più rapida accensione che per la necessità di fiamma più viva. 
Di più: i giornali e riviste che entrano in casa, anziché gettarli nei contenitori raccolta carta (con il fondato dubbio che finiscano maciullati dallo stesso mezzo che raccoglie gli altri rifiuti) me li riciclo in proprio. Avevo trovato un 'pressino per carta', che, previa messa a bagno del materiale cartaceo, lo pressa riducendolo alla forma e dimensioni dei comuni mattoni edilizi. Stesi al sole estivo, seccano, diventando solidi, leggerissimi; nel termocamino bruciano lentamente, come fossero di legno. Questo aggeggio mi copre magnificamente il periodo invernale. 
Per quanto riguarda le salsicce, il formaggio e i fagioli il servizio è rimasto invariato. 
L'estate ho pensato bene di 'coprirla' con i pannelli solari. 
Acqua calda  a iosa, che se fosse possibile la potrei anche vendere.
I gatti sono autonomi e autarchici; il rospo e i ricci, quando si fanno vedere, pensano solo al mangiare e delle pulizie se ne fregano. 
In seguito ho messo anche i pannelli fotovoltaici; ne parlerò in una prossima puntata di eco(logico), perché meritano un capitolo a parte per come mi hanno fatto girare le... ventole.

lunedì 26 luglio 2010

Pausa gelato

La foto qui sopra è stata scattata da una prof di matematica, che sta all'ultimo piano del palazzo che ci ospita.
Una sera, verso le dieci, era scesa agli inferi (nella definizione dei piani, lei stava in paradiso, noi all'inferno, semplificazione dell'abitare in alto e dello stare in basso, che più in basso non si può) per vedere se avevamo della tachipirina.
La madre, quasi ottantenne, stava passando qualche giorno da lei, e se ne andava col marito al mare.
Per dimostrare che gli anni li sente chi non li ha, si era rosolata ben bene al sole, poi, prima di lasciare la spiaggia, si era buttata sotto la doccia fredda: la salsedine se n'era andata ma, in cambio, le era venuta la febbre a quasi 39°.
In cambio della tachi, mi aveva lasciato questa foto.
Era stata scattata alle sei di una mattina di aprile.
La prof si preparava per andare a scuola (insegna in un classico a una ventina di chilometri), quando dal balcone aveva visto questo strano arcobaleno e lo aveva catturato.
Le cose belle non mi piace goderle da solo; pertanto la ficco in una bottiglia e la lancio nel mare come saluto a tutti i navigatori, ovunque stiano dirigendo la prua.
A chi era in autostrada, e d'improvviso si trova in un sentiero pieno di buche e rovi.
A chi vive accanto alle macerie della propria casa, abbattuta dal destino, e si rende conto che il peggio non è passato.
A chi riesce a fotografare la poesia.
A chi attraverso un boccale di birra vede un arcobaleno con tinta dominante granata.
A chi da uno stagno sparge pillole di saggezza.
A chi con tecniche pirotecniche colora il proprio blog, facendo impazzire l'unico incapace, che invece di navigare ci nuota a piombo.
Insomma a tutti...
Fine pausa, chi deve è pregato di tornare al lavoro; chi no, può tornare alle faccende sospese per vedere questa beneaugurante immagine.

mercoledì 21 luglio 2010

Petali di crisantemo

Quando facevo parte della forza lavoro attiva, battevo... (E dai, già dal titolo si capisce che sto per raccontare qualcosa di serio, magari tragico, ma come faccio a continuare se dal fondo e dal sottofondo capto, già dopo la prima riga, commenti dissacranti: "Lo dubitavo, adesso ho la certezza...". "Ecco cosa faceva il gatto, quando diceva di lavorare...". "Apperò, 'sembrava' così ammodino...". "Peccato, qualche anno dopo e anche lui sarebbe entrato nell'entourage...". Ovviamente è la malignità tipica dei piccolotti che mi fa pensare queste cose. Che, sono certo, mai passeranno nella mente di chi bonariamente mi legge. Comunque, il primo che dice: "Io non l'ho pensato", lui è il Giuda). Dicevo, nel mio peregrinare, ho vissuto esperienze che hanno lasciato un segno particolare nei miei ricordi. Come forse già sapete, negli ultimi anni della mia vita lavorativa, ho vissuto più negli alberghi che a casa mia. In parecchi di questi, al mio arrivo non chiedevano più i documenti, perché ero già schedato, catalogato e questurato. Mi dicevano: "Signor Gattonero (ndr: per evitare che dopo il 'lavoro' qualcuno pensi che è il vero nome, sia chiaro che trattasi di pseudonimo), ecco la chiave, stanza 69", o un altro numero, sempre per evitare malignità. Una mattina, verso le 9, me ne andavo bello bello in auto sulla statale, diretto a un paese che quel giorno sarebbe stato oggetto della mia attenzione. In transito, proprio di fronte a uno degli alberghi di cui ero cliente, ho visto in lontananza un agente di polizia, che con la paletta indicava di moderare la velocità. In terra pezzi di plastica, di ferro, di lamiere... Un incidente, di sicuro. Non sono un patito degli incidenti stradali; nella folla di curiosi stronzi che guatano e commentano non vedrete mai un gattonero. Anche per evitare grattugiamenti o addirittura sassate. Ho tirato dritto. Una mezz'oretta dopo, raggiunto il mio corrispondente, questi mi ha raccontato l'incidente, per filo e per segno. La sera prima, un tizio aveva preso una stanza dell'albergo; aveva parcheggiato nell'ampio spiazzo di fronte alla scalinata d'entrata, e, dopo la cena, era salito a ramazzare in camera. Dal racconto del mio corrispondente, che chiamerò Nino per brevità, ho appreso che: a) la ramazzatrice era minorenne e b) era parente di qualcuno che non gestiva un'impresa di pulizie. Per far capire al ramazzatore che "queste cose non si fanno", nella notte gli avevano messo un petardo sotto la macchina, collegato all'accensione. Verso le cinque del mattino, finite le pulizie, con lo scopetto a riposo, il tizio se ne era andato; forse per continuare le pulizie a casa sua. Il petardo aveva fatto saltare lui e la macchina fino all'altezza del quarto piano dell'albergo. Qualche residuo dell'auto era arrivato fino alla statale. I suoi residui, non lo so. Due parole su questo Nino. Innanzitutto, era professore di matematica e insegnava alle medie della cittadina. Una delle sue caratteristiche, quasi una mania, era la pulizia del baule della mia macchina. All'epoca, in quel baule, mettevo una serie di gadget (materassini, tovaglie da mare, biro, mollettoni pubblicitari ecc.). La prima volta che ero andato da lui, come avesse annusato che c'era qualcosa di buono "anche" per lui, si era tuffato nel baule e me lo aveva svuotato. Il mio occhio vigile ha evitato il prelievo della gomma di scorta o del cric. Ora, quel materiale avrebbe dovuto essere centellinato tra i diversi corrispondenti suoi colleghi. Ai quali, nella visita successiva, allargando le braccia ho dovuto dire: "Non mi è arrivato ancora niente. Al prossimo giro". La prima volta. Da allora l'ho messo per ultimo nelle visite; ci passavo subito prima del rientro alla magione, poteva ripulirmi solo degli avanzi. Tra i miei compiti istituzionali c'era anche la verifica della contabilità. Ho detto che Nino era prof di matematica. Ossia uno di quei pochi che i numeri li rivoltano come vogliono, e il risultato è sempre esatto. Nelle mie verifiche questi numeri quadravano, come solo loro sanno quadrare; soprattutto se manipolati da un prof di matematica. C'era ancora la lira, e i conti quadravano alla lira. Ci fossero già stati gli euro, sono certo che i conti sarebbero tornati al milionesimo di centesimo. Perfetto. Ma, non so perché, ogni volta che lo lasciavo, prima ancora di mettere in moto la macchina, mi dicevo: "E' tutto a posto, ma io so che mi ha di nuovo fregato! Non so dove, ma mi ha fregato!". Sovente, queste visite si concludevano con una cena comune, or qui or là. Una volta, finito il lavoro nel primo pomeriggio, ci eravamo dati appuntamento alla sera, per cenare insieme. Albergo, pisolino, telefonata, cinque righe di relazione sulla giornata... (Altra pausa: so, oh se lo so, che oltre ai commenti sul mio 'lavoro' ce ne saranno altri sulle "cinque righe" della relazione. Allora erano veramente cinque righe, non ne servivano di più. Solo recentemente, sarà la prostata, sarà la vescica, sarà il pisellino, ormai quasi a riposo, che mi implora "almeno fammi pisciare", e piscia gli dico; ne consegue che, 'chi non piscia in compagnia...', non essendo né ladro né spia, piscio anch'io). La sera Nino era passato a prendermi in albergo, e mi aveva portato fuori città in un posto un po' isolato, in un ristorante, che sembrava più una bettola. Quelle bettole che, al di là delle apparenze del locale, ispirano fiducia su quello che ingurgiterai. Infatti, il mangiare e il bere, erano stati una favola. Verso la fine del pasto, dalla cucina era uscito un omone, con la casacca tipica dei cuochi, con chiazze di bianco qua e là che ne indicavano il colore originario. Aveva un'aria macilenta, il viso emaciato, gli occhi lacrimosi... Riconosciuto Nino, dopo averlo guanciato, si era seduto al nostro tavolo, per bere un bicchiere con noi, e chiaccherare. Con Nino, perché tra frasi in dialetto e occhi di pianto, non avevo potuto seguire i suoi piagnistei. Però avevo capito che aveva qualche guaio con la giustizia. La sua figura, così abbattuta, il suo parlare quasi singhiozzante, mi avevano fatto pensare al poveraccio che, rubata una mela per fame, viene fagocitato negli ingranaggi di una giustizia che non lo molla più, quasi a dire "la legge c'è e deve essere rispettata". Dal ladro di una mela. Tutti i prof, anche le più carogne, hanno un cuore (fino a prova contraria), e Nino quel cuore lo aveva in mano, consolava il derelitto, "vedrai che le cose si chiariranno, non ti abbattere...". Il mio, di cuore, lo avevo posato nel piatto, per meglio solidarizzare con quel poveraccio. Se dico adesso "per farla breve", so che mi arrivano una o più pernacchie. Ma non demordo, morirò di pernacchia, sul campo (dopo la scorregia nel cuore in segno d'amore, va tutto bene) . Finita la cena, dopo lo sguanciamento di saluto tra Nino e il cuoco, eravamo saliti in macchina per il rientro a domicilio. Nino dopo la messa in moto, e usciti dall'aia dell'osteria, e mi ha detto: "Quello ha sulla coscienza almeno quaranta omicidi". La classica tegola in testa mi avrebbe fatto il solletico; era un tetto intero. Santa ingenuità, gli avevo detto: "Ma tu gli hai fatto coraggio, lo hai consolato...". Fermata la macchina, mi aveva guardato fisso: "Perché tu cosa gli avresti detto...?". Se presa a mo' di domanda, c'erano due possibili risposte. Una: "Torniamo dentro a consolarlo ancora...". Due: "Andiamocene, non vorrei che il detto 'arrivati a ventinove, facciamo trenta' venisse aggiornato in 'sono a quaranta, faccio quarantuno' ". Chiamatemi coniglio, se volete, ma... Nell'albergo dell'addetto alle pulizie non ho più messo piede. In quell'osteria neanche. Tra il primo e gli altri quaranta, sono quarantuno i petali del crisantemo. Il quarantaduesimo, per vostra sciagura o per vostro sollazzo (visto che il cinismo tra voi abbonda), è quello che ha raccontato.

giovedì 15 luglio 2010

Sono distrutto...

Avevo avuto problemi con l'adsl e il telefono di casa.
Richiesta di aiuto al gestore, che aveva provveduto a richiedere l'intervento del proprietario della linea.
Come da prassi. E, come da prassi, aveva avuto inizio una settimana che non era quella santa, ma alla fin dell'avventura lo era, elevata a potenza. A causa delle chiamate a correo di tutti i santi e le madonne del Paradiso. 
Era venuto Giuseppe, poi ridotto a Peppo per via di una frequentazione forzata della cui intimità avrei fatto volentieri a meno. 
Era (non nel senso di ei fu, solo per rispetto dei tempi di scrittura) un uomo piuttosto robusto, con uno stomaco che su una nave corsara sarebbe stato una prua con tanto di bolena; un brav'uomo. 
Ma, soprattutto, era un tecnico Tim. 
Per una settina di volte mi era venito in casa, mandato dal gestore, di cui non faccio il nome per via della privacy, e poi non voglio fargli pubblicità gratuita (capirai che pubblicità!). 
La prima volta aveva fatto delle prove, sentenziando: la linea è a posto, è il modem da cambiare, se fosse con noi glielo cambierei io sul momento. 
Non ero con Tim. 
La seconda volta aveva fatto un esame più approfondito, mi aveva detto di stare davanti al monitor, ché lui andava a fare delle prove dalla cabina (a uso e consumo di chi so io: gabina); al ritorno il modem forse andava bene, forse c'era qualche disguido in centrale. 
La terza volta, il modem andava bene, in centrale tutto in ordine, forse era la linea interna che non era a posto; dovevo farla vedere da un elettricista. 
La quarta volta era andato a pastrocchiare nella cassetta esterna, in un groviglio di fili di tutti i colori, con le forbici tagliava di qua, riuniva di là: dava l'impressione di sapere cosa faceva. 
Io, sotto la scala, sudavo merda. 
Il mio scetticismo si era dissolto come il ghiaccio nel whisky, quando al rientro in consolle, ho visto che l'adsl e il telefono erano andati finalmente in orbita. 
Ho detto che era un brav'uomo. Prima di lasciarmi, sommerso di ringraziamenti inchini baciamano, mi aveva lasciato il numero del cellulare: "Se ci fosse ancora qualcosa che non va, invece del gestore chiami me direttamente, così facciamo prima". 
Mi ero steso davanti all'entrata, nel caso specifico uscita, da casa mia, e l'ho pregato di pulire su di me i suoi piedi sacrosanti. 
Ero a cavallo? No, ero a ciuccio! 
Da allora le cose erano precipitate, in un modo che ancora oggi trovo inspiegabile.
Adsl/voce tutto a posto. 
Il mattino successivo al miracolo, mi aveva chiamato sul cellulare un tecnico Tim, non il Peppo mio, chiedendo notizie dell'impianto. 
Tutto ok, grazie. 
Il mattino successivo all'ok, chiama un altro tecnico Tim, né Peppo né il nuovo di ieri: come va? Tutto ok, grazie. 
Il mattino successivo al secondo ok, aveva chiamato un altro tecnico Tim, questo lo conoscevo, si chiamava Gianni e, pur essendo tecnico Tim è di una bravura e un'intelligenza eccezionali. 
Casualmente è tifoso sfegatato del Torino, ma questo non aveva influenzato il mio giudizio su di lui. Come va? Tutto ok, grazie. Speriamo sia la volta buona, dai che quest'anno ce la facciamo... Non si riferiva alla mia linea telefonica.
Il mattino successivo al granata, aveva telefonato Peppo: come andiamo? 
Benissimo, una meraviglia! Aveva mugugnato qualcosa, come dire: eppure non è a posto. 
No, Peppo, le assicuro che va veramente a meraviglia. 
"Sarà, ma non sono convinto...". 
Stesso giorno; dopo il limoncello e la sigaretta ero andato, sempre, a fare uno scampolino, un'oretta per dividere il mattino dal pomeriggio. Tutti i famigli, gatti compresi, sanno che quell'oretta è sacra: per turbarla serve qualcosa di eccezionale, che so un incendio, un terremoto, un sei all'enalotto che mi era sfuggito... 
(Non è che mi stravaco sul divano come un barbone qualunque. Vado nel mio letto, mi spoglio, se fa freddo vado sotto le coperte, se fa caldo mi ci stendo quasi nature; non ho bisogno di sveglia, quando scatta l'ora mi alzo, il caffè è pronto, la sigaretta pure, un veloce sciacquo al muso, e il pomeriggio mi si presenta come un quadro di Botticelli, quello della Primavera). ... o Peppo. 
Erano venute a svegliarmi, perché era venuto a verificare di persona se era tutto a posto. Confuso per tanto interesse, mezzo ciuco per l'inatteso risveglio, lo avevo rassicurato: tutto bene. 
Qualunque personaggio a cui dici "è tutto a posto" farebbe un saltello di gioia, e si toglierebbe dalle palle, ben felice di non avere un cazzo da fare. Peppo no: si riattacca alla cassetta, manipola, tagliuzza, annoda... insomma, si rende utile. 
Prova telefono: ok. Adsl: ok. 
Se ne era andato felice come una Pasqua (non ho ancora capito il senso di questo tipo di felicità, ma le cose che non ho capito nella vita sono talmente tante che una più una meno...), seguito dalle mie 'benedizioni' per il sonnellino interrotto (c'è una cosa di cui si dice "ogni lasciata è persa"; non ricordo a cosa si riferisse, ma penso sia la pennichella pomeridiana). 
Il tempo che il macchinino rosso Tim si allontanasse, reso fulgido dal sole del tardo pomeriggio, al rientro a casa... 
Mi era venuto da piangere: tutto fuori uso. Avevo pensato, forse deve assestarsi, poi tutto torna come i giorni precedenti. 
Tutto era tornato come i giorni precedenti i precedenti: ossia a schifio. 
Chiamato il gestore al call, aveva risposto una presumibilmente deliziosa fanciulla, aveva rilevato nel suo monitor che c'erano problemi, aveva passato la richiesta di intervento tecnico, ci vorranno almeno cinque giorni, mi richiameranno per chiusura pratica. 
Nei cinque giorni seguenti, casa mia sembrava una stazione ferroviaria: l'adsl prendeva un treno e se ne andava, tornava lei e partiva la voce, in continuazione. 
Il giovedì avevo richiamato il gestore, altra pulzella, aveva ripreso il mio SOS, riaperto la richiesta ecc. ecc. 
Venerdì alle 9 ero nel parcheggio a fare lavoretti. La moglie: vieni, c'è di nuovo il tecnico per il telefono. Eh la peppa!, che prontezza, dopo una settimana di viavai e vaivia...
Peppo. 
Dalle nove alle dodici e trenta passate. Aveva cominciato le solite prove all'interno, poi, scaletta e prolunga per la corrente, era passato alla scatolona comune sulla strada: svita morsetti, taglia fili, sposta di qua sposta di là (pensavo: alla fine qualcun altro piangerà), richiude tutto dopo la laparatomia, con i fili svolazzanti come viscere. Il tutto sotto un sole boia. 
Interno palazzo, prima scatoletta nell'androne: un piccolo intervento, anestesia locale. Seconda scatola, sopra la porta di casa; idem come sopra. Interno casa: si era buttato sulle due prese telefoniche, non riusciva a svitarle, anche perché la pancia gli rendeva difficoltoso lavorare quasi filo terra. Un paio di tentativi, poi aveva ritenuto che farlo a pezzi sarebbe stato più veloce. Aveva anche deciso di spostare l'entrata del cavetto telefonico da una presa all'altra, eliminando del tutto l'entrata precedente. 
Inoltre aveva in macchina il tiracavi e aveva cambiato un cavetto, a suo dire sospetto. Collegato il modem: l'adsl funziona, il telefono, collegato direttamente al modem funziona. 
Se ne era andato, come detto, dopo la mezza. 
Lasciandomi con due prese sfasciate, letteralmente squacchiate dal muro, quindi con scagliola e pezzi di plastica sparsi qua e là; la "presa" principale era rimasta pendula, sostenuta dai due cavetti telefonici (attenzione che non si stacchino, se no resta senza voce e adsl), i mobili spostati, e lo studio del modo di rendere operativo il telefono da dove avrei voluto io. 
Il pisolino di quel venerdì era stato una giravolta continua, a forza di pensare cosa fare. 
Il pomeriggio non era più la Primavera, era l'Urlo. 
Avevo rimesso tutto a posto, e, vivaddio, pare che ancora funzioni.
Nonostante Peppo. 

martedì 13 luglio 2010

"Che cazzo fai?"

Premessa: oggi, martedì, fa un caldo boia; l'adsl va e viene; la pelliccia esterna è nera, la pelle interna è verde, ma così verde che il verde leghista al confronto è rosa pallido. Questo verde è provocato da un malanno chiamato "invidia": invidia per tutti i vostri blog, che sono tutti di una bellezza conturbante (potessi copularci, lo farei con ciascuno di essi), ma, soprattutto, non 'toppano' mai. Detto questo, e viste le premesse, disconosco fin d'ora la paternità di quanto vado a tentare di scrivere, e soprattutto di postare.

"Che cazzo fai!", è la frase che si sussurra quando, viaggiando in un senso unico, ti trovi una macchina che ti viene frontalmente.
"Che cazzo fai!", è la frase che ti sibila il pedone che, nonostante tutto, non sei riuscito ad arrotare.
"Che cazzo fai?", è l'urlo, mentre navighi nella tua canoa a propulsione manuale di una pagaia, che senti rimbombare in mezzo all'oceano; viene da un transatlantico cui hai tagliato la strada.
La differenza fra i tre "cazzi" è nei punti, esclamativo e interrogativo.
I primi due indicano chiara disapprovazione, e l'esclamativo è un coprivirgola, cui segue sempre una sequenza di aggettivi squalificativi, che abbracciano amorevolmente tutta la parentela del destinatario della missiva.
Il terzo, invece, punto interrogativo, indica apprensione, solidarietà, affettuosa richiesta di chiarimenti.
I "cazzi" o similcazzi che ho trovato, in particolare su un blog, rientrano in quest'ultima categoria, anche se ho avuto l'impressione che qualche post, oltre alla pena sprizzasse anche profondo compatimento, oltre a risatine sottofondo.
Vado a raccontare gli episodi che mi hanno barzellettato.
Il primo riguardava un mio commento a un post, sul mio blog.
Ho battuto, con la concisione di cui vado fiero, questo commento; ho eseguito tutte le manovre richieste, user pass pubblica, esce una striscia gialla: il tuo post è stato pubblicato.
Sono piuttosto curioso, pertanto vado a rileggermi la creatura. Non c'è.
Richiamo il "pubblica post" e mi trovo il rettangolo bianco, fiordilatte; riclicco sull'invio post, e mi risponde una scritta rossa: il testo nel campo è obbligatorio.
Il testo mi piaceva e volevo pubblicarlo. Da lì è nato Non entro dalla porta, passo dalla finestra , direttamente sul blog del gatto, convinto che fosse un pezzo unico.
Tornato sul commento, che credevo abortito... e me lo ritrovo al suo posto, vispo e sogghignante.
Pubblicazione doppia, forte dubbio di megalomania latente dell'estensore.
Vabbé, è andata così, nella vita c'è di peggio.
Vado avanti un po' di giorni, posteggiando qua e là, ma robe di pisciatine, e comunque tutte in casa d'altri.
Tutto perfetto, nessuna pugnalata dall'adsl, nessun tradimento dal gestore.
Fino a qualche giorno fa, quando la confidenza confidenziale di donna Grace-eccetera, mi ha indotto, me tapino, a una risposta articolata al suo post.
Stessa trafila per l'inoltro, stesso risultato, rettangolo bianco, tutto perso.
Mi era sembrato un bell'articoletto, ho pensato bene di non mandarlo in fumo; quindi rientro a casa del gatto, lo ribatto più o meno identico, perlomeno nella sostanza, e lo invio.
More solito, torno al commento assassinato... e sapete già cosa è successo: mi sono ritrovato ambitesto.
Non bastava: la Grace-eccetera ha pensato bene di riportarlo anche nel suo blog, circondandolo di un'aura immeritata, soprattutto pensando alla seconda figura di merda collezionata.
E siamo a ieri.
Il prof. Perboni, nel blog dell'intervista al coniglio, mi chiedeva un'informazione a vago sfondo educativo.
A Perboni non si può dire di no, quindi ho provveduto a relazionarlo in merito alla sua richiesta.
Solita trafila: testo, posta commento...
Credo che anche voi avrete sentito il "perdirindindina" 6° scala Mercalli, con il dovuto contorno di insulti, diretti a tutto l'apparato; tastiera topo monitor, da neri che sono, erano diventati rossi per la vergogna.
Abbandono la consolle, passo in cucina per un goccio di caffè (niente di meglio come calmante), esco in giardino e mi accendo una sigaretta.
Cielo azzurro, mare in lontananza una tavola, venticello nord-sud: l'ideale per fare una disamina serena della situazione.
E lì è venuto il lampetto di genio.
Torno in plancia, vado direttamente sul blog del gatto, e posteggio la sfida. Poche parole, per attivare il blog.
(E meno male che non ho battuto quello che pensavo, altrimenti chi ci spia mi avrebbe mandato in galera).
Ho fregato non so chi, ma l'ho fregato!
Il post è tornato in vita.
Elimino subito il blog specchietto per le allodole, e finalmente mi rilasso.
Già ieri sera scopro che quello che avevo cancellato era già stato ripreso in un blog parallelo.
Vado a spiegare, con dovizia di particolari, in un commentino cuore in mano, la situazione. Posto... cancellato. Rimando tutto a oggi, sperando in bene.
Questo è tutto.
Anzi, non è tutto: mi piacerebbe sapere come ha fatto la portaerei citata in apertura a trovare quelle due righe, subito cancellate, che mi stanno esponendo al ludibrio universale.

Ma siete tutti orwelliani, adepti del grande fratello, iscritti a radio vaticana, testimoni di geova, siete pidiellini quinta colonna...? Mi sento massacrato dalle vostre capacità.
Comunque, facendo finta di credere che non vi state sganasciando, ringrazio per la solidarietà.
Terrò presente l'alternativa della pergamena; da qualche parte devo ancora avere dei bastoncini di ceralacca (mai buttare qualcosa, non si sa mai...).

sabato 10 luglio 2010

7 Luglio 2010: la parola al coniglio sulla costa

Premessa: qui sotto troverete l'intervista del Coniglio sulla costa, rilasciata a Radioradiosa di Matera il 7 di luglio, a fattacci di Roma già avvenuti.
La registrazione l'ho fatta per mia curiosità personale, purtroppo su un piccolo registratore a batteria e cassetta. Essendo assolutamente digiuno di tecnologie web ho fatto capriole mortali per riuscire a mettere in rete un prodotto decente.
Chiedo perdono in anticipo se non ce l'ho fatta del tutto.
Quindi chi avesse rilievi "tecnici" da muovermi, o insulti per offesa del web, mi faccia avere nome/cognome, indirizzo, telefono e codice fiscale: verrò di persona a chiedere scusa.
Metto l'intervista, indegnamente, sul mio blog, perché non sono riuscito a metterla nella sua cornice naturale (il blog del Coniglio), nonostante la fattiva collaborazione della mia solita badante diciottenne. Quello che vi passo è quasi tutto merito suo.


A voi Paola:



Credo ci sia poco da aggiungere.
Voglio, però sottolineare la delicatezza dell'intervistatrice, quando ha definito "esacerbata" la Paola: credo fosse un eufemismo per dire incazzatissima; evidentemente in radio è d'uopo ammorbidire i termini.
Lo sfondo di supporto all'intervista è colpa di Gioia, che con il suo "amore su tutto" mi ha plagiato, costringendomi a offrire un segno di pace anche a chi sta scassando in maniera ossessiva.
Ho pensato: quale miglior segno di distensione se non i fiori?
Questi fiori.
Non i frutti, ma proprio le pale, sode e puntute, sbattute una per una in faccia ai politici, ai giornalisti, ai faccendieri, a chi ha riso e ride tutt'ora, ai mistificatori, ai lecchini per convenienza, ai venduti per necessità, ai ciechi a ragion veduta, e a tutti gli altri che io posso qui dimenticare, ma che gli aquilani ricorderanno per sempre, sulla loro pelle.
Con l'augurio che la voce del Coniglio non sia una voce che grida nel deserto.
Soprattutto nel deserto dell'indifferenza.


(Per sentirla un po' meglio, aspettate la carica completa; ma che lo dico a fare, a maghi del web quali siete tutti voi).

giovedì 8 luglio 2010

L'AQUILA 2009 (?)

Panico
misto a dolore
che umilia lo sguardo
di colui che cerca il suo
tra cose che marciscono distrutte
Il suo delle cose
Il suo degli amori
dei pianti
delle ansie
dei pochi momenti felici
delle illusioni che scompaiono
dietro mucchi di pietre cadute
E noi siamo vecchi
e il magma della terra
ancora ribolle
assesta colline e monti
in nuovi ordini
in un corollario disumano
ignorando le genti
Poi le jene
i corvi
i falchi
gli spolpatori di cadaveri
le genti dall'occhio furbo
i migliori che abbiamo
i più onorati nei pregi
pronti a saltare sulle ultime membra
che rimangono ancora a brandelli sulle ossa
e spolpare con foga indigesta
E noi restiamo stupidamente vecchi
mentre il magma della terra ribolle
assesta colline e monti.

Il titolo originale di questa poesia è VALLE DEL BELICE, è stata scritta nel 1968 da Francesco Zaffuto, in occasione del terremoto in quella zona.
L'ho scoperta solo ieri in un suo commento sul blog di Gioia. Gli ho chiesto di pubblicarla su questo blog, per offrirla a chi l'avesse persa.
I vergognosi fatti di ieri a Roma sono l'apice di altrettanto vergognose azioni messe in atto in precedenza, e tutt'ora, da chi nega o manipola la realtà.
Anche a nome di Zaffuto, la dedico agli abruzzesi, e agli aquilani in particolare, affinché la loro determinazione non venga meno e il loro coraggio prenda carica anche dalla nostra rabbia.

martedì 6 luglio 2010

MONICAalias...

(Nuovamente incidentato dall'adsl, che mi ha cancellato un post di commento cui ero particolarmente affezionato, lo ripropongo qui, dove c'è una parvenza di salvataggio . Anche se i parti (non come voce del 'partire', ma come deiezioni) della mente difficilmente riescono a riproporsi identici in seconda battuta. Il post assassinato dal mio server (che non me lo offre gratuito, non è una dama di san vincenzo, non fa beneficenza, e che se solo gli arrivano metà degli accidenti che gli mando in queste, troppe, occasioni, minimo fallisce...) era una lirica, un'ode, un inno; al termine della stesura ero commosso, i girini sguazzavano felici, come porcelli nella melma, dentro il fiume delle mie lacrime, i pesciolini rossi dall'acquario chiedevano a gran voce di potersi immergere nel liquido sorgivo dalle mie pupille. Appena cancellato il post, queste acque pure si sono trasformate in acque putride, avvelenate, i girini sono schizzati via incazzati neri, rifugiandosi nell'acquario e qui chiedendo rifugio politico. Ovviamente, tutto ciò, secondo una valutazione mia, strettamente soggettiva, quindi ampiamente contestabile. Comunque ci riprovo).

@ Gracealiasmonicaaliassarasimeonituttoattaccatoaliaschissàquantealtre:

C'era una canzone che faceva all'incirca così:
"Trottola, trottola, strada facendo trottola...". Non ricordo l'anno di uscita, ma risale a pochi anni dopo il vostro approdo in Val Gina, secolo più secolo meno.
Ecco, con il tuo post, mi hai trottolato, rincoglionito, e Dio solo sa quanto non avrei ulteriormente bisogno di questo stato di grazia.
Senza essere un barattolo.
Per cominciare, il tuo tuffo, con doppio avvitamento, ha fatto del mio cuore uno stantuffo; e meno male che non era pure carpiato, altrimenti ci sarei rimasto stecchito.
Ho alzato gli occhi al cielo, e quella che ho visto scendere non era una delicata leggera piuma ondeggiante nella brezza; era piuttosto una coscia di donna, matura (ti prego notare la finezza della virgola, che specifica la maturità della pera, non della donna) che precipitava, pur con una certa eleganza ma precipitava, verso il basso.
E non essendoci in questo basso, e forse in tutta la Val Gina, un lago, un fiume, un rio pronti ad attutire il tuo rientro a terra, mi ero preparato a raccogliere la frittata.
Non so come hai fatto, ma ti ho visto toccar terra bella vispa come una teresa.
Sospiro, di sollievo.

Appena ripreso, vado avanti nel tuo testo, e incoccio in "flashback".
Devi sapere che il tibetano, per me, è peggio del sardo, per cui, tentando a occhio di capire cosa cavolo volesse dire questo termine, ho concluso che forse è un modo dialettale di definire la lap e poi dance.
Non chiedermi come sono arrivato a questo sbulinamento; l'ho letto così, e così ti ho inquadrato.
Eri avviluppata a un palo...
Non vado oltre, perché ho visto cose che in Val Gina se le sognano, anzi non le possono sognare, poiché fuori dalla portata di menti semplici e pure.
Una volta si diceva 'cose turche', ma queste erano cose ottomane, ottozampe, ottotutto.
Che meraviglia!
Dopo qualche secondo (7200 per la precisione) mi sono accorto dell'abbaglio, e ho proseguito nella lettura.
Non senza un sospiro, profondo, di delusione.

Monica: avresti potuto elencare tutto un calendario delle Monica, in vita andate sante regine, ma l'accostamento principe, almeno per questa generazione di depravati, rimane quello della sigaraia (ed è un peccato che al governo e dintorni non ce ne sia alcuna; sarebbe stato un sollazzo pazzo. Anche l'ultima creatura, ex meteorina di Fede, non va a chiamarsi Giovanna, come quella d'Arco, così da potersi presentare pulzella alla provincia di Napoli? Per inciso, adora Berlusconi, ma è una coincidenza).
Quello che non ho capito è la tua transazione da un nome che ormai è tutto un programma, a quello di Sarasimeonituttoattaccato.
La Sara è stata una splendida sportiva, è tutt'ora una bella donna, intelligente e ironica.
Come spelling tu, nessuno mai.
E meno male che non sei estetista, altrimenti prima di finire tra le tue grinfie, bisognerebbe mettere un quadratino della propria pelle in vitro, e dopo averne ottenuto un paio di metri quadri di riserva, affrontare il martirio.
Quindi, per riuscire a spellingare il nome Monica in quello della Sarasaltoinalto, ci vuole una fantasia stratosferica, ovvero una deformazione mentale che solo un'accentuata 'diversità normale' riesce ad appagare.
Invidia? Gelosia?
Forse hai beccato Will che faceva salto in alto abbarbicato alla Sara?
E, in un impeto d'amore, quello senza confini, ti sei introiettata il suo nome, per potergli dire, mattino mezzogiorno sera e soprattutto notte: "Sarasimeonituttoattaccato sono io, l'altra sarà pure brava e bella, ma è apocrifa"?

Del post originale non ricordo altro, so solo che quello era un capolavoro (sempre soggettivamente parlando) e questo è quello che è: un commento.

Torno un attimo sul tuo "diversamente normale": non è il tuo esserlo che mi preoccupa; mi angoscia, invece, l'anormalità normale.
Come la mia, per fare un esempio prossimo.

Stavolta il bacio conclusivo è del gatto (che si è lavato i denti e che ha le tonsille alla vaniglia fragola e frutti di bosco, per la Sarasimeonituttoattaccato; per la Monica si può scegliere al momento).

Di nuovo fregato, è uscito anche di là. Riletto, non era proprio un'opera d'arte.

So solo che questa adsl mi sta prendendo per il culo.

sabato 3 luglio 2010

La motozappa e i merli

In questi giorni, tra un temporale e l'altro, sto 'passando' la motozappa nel mio orticello. 
Quando (dopo tira e molla, più tira che molla, perché si è viziata e mai che parta al primo o secondo strappo dell'avviamento) finalmente si mette in moto, una volta instradata sul percorso da macinare, il suo ronfare concilia i pensieri, interrotti ogni tanto dal soprassalto della macchinetta quando trova terreno più secco o sassi fuori misura. 
Durante il lavorìo della terra questi pensieri sono simili a quelli della notte, quando ci si sveglia e (passato il tempo del conteggio delle pecore, bucolico in epoca lontana, ma ormai desueto) per agevolare il ritorno del sonno si pensa, si pensa a tutto: a un ieri lontano, a uno più prossimo, all'oggi, ma soprattutto al domani e al domani futuro. 
Con una motozappa fra le mani non ti puoi abbiocare, come succede sovente alla guida di automezzi su strada. Intanto per lo scotimento continuo e poi per il baccano che un motore di otto cavalli, a gasolio, riesce a sprigionare. 
Già lo scorso anno avevo notato, con un certo stupore, che miei compagni abituali del lavoro erano due merli. Mi venivano appresso, becchettando nella terra smossa, saltellando di qua o di là, fregandosene altamente della mia presenza e del baccano del mio trabiccolo. Uno di questi merli è nero, con un becco color giallo vistoso. L'altro è grigio, con il becco di un giallo più attenuato. Non sono pratico di sesso dei merli (già sta diventando problematico il riconoscimento di quello degli umanoidi, figuriamoci quello dei volatili), ma le mie ragazze mi hanno istruito in merito: la grigia è femmina, nero è il maschio. 
Non che cambi molto, ma ho notato che la femmina è più intraprendente del maschio, al limite dell'incoscienza; nei suoi saltellamenti, ogni tanto si affianca alle pale che scavano il terreno, con il rischio di farsi risucchiare da queste. Evidentemente va alla ricerca dei vermicelli più freschi, appena sfornati dalle zappete. 
Con il baccano, non fa neanche caso se le grido di allontanarsi. Fin'ora le è andata bene. Ed è andata bene anche a me: se un giorno dovessi maciullarla, credo che venderei la motozappa e tornerei alla vanga buonanima. 
Dicevo, questo movimento di compagnia lo avevo notato già gli anni passati. Quest'anno ho fatto una scoperta più singolare, che mi ha fatto concentrare, per avere conferma di quello che non era più un fatto occasionale. 
Ho detto dello strano coraggio delle due bestiole, che né il baccano né le urla dissuadevano dal lavoro di ricerca. Mi si era spenta la motozappa per fine carburante; la coppia, in simultanea, si è allontanata, rifugiandosi sugli alberi vicini. Più oltre, ho spento per un goccio di caffè e relativa sigaretta: stessa scena di fuga e riparo arboreo. 
A quel punto, quali potessero essere i pensieri che mi ero ripromesso di esaminare, li ho accantonati, concentrandomi sul comportamento dei due volatili. Ho pensato: vuoi vedere che questi hanno capito che, con le mani e il corpo occupati alla guida della motozappa, ero sicuramente innocuo e quindi facevano gli spavaldi a ragion veduta? Non nego a nessuno, neanche agli animali, la capacità di intendere e a questo intendere di adeguarsi. 
La fresatura della terra, ormai era un contorno alla mia verifica. Spegnevo e riaccendevo in continuazione la motozappa per seguire la reazione dei miei due amici. Nella follia dello studio, mi sembrava quasi di sentirli: "Pensa a lavorare, cincinnato della domenica, e non rompere con 'sti esperimenti del cazzo!". 
A parte il fatto che è sabato... ma posso mettermi a puntualizzare con dei merli? Solo alla fine del lavoro, la lampadina di archimede pitagorico si è accesa, con una luce fulminante: il casino della macchina e le mie urla erano un segno di vitalità, di movimento, e a loro andava bene, si sentivano sicuri. E' del silenzio che avevano paura, e 'sentendo' il silenzio fuggivano. 
Chiudo questo breve "studio", magari stupidino (comunque sempre meglio del rilevamento dei tempi del coito tra bipedi) con una constatazione: è il silenzio che deve far paura, è il silenzio che aiuta chi vuole averla vinta sulla ragione e sui diritti. Bavagli, affossamento dell'informazione, occultamento delle verità, mistificazione dei fatti, negazione delle evidenze... Tutto è diventato lecito, pur di silenziare la motozappa della protesta. 
L'hanno capito i merli, che come QI non sono all'apice della classifica dell'intelligenza: il silenzio È paura.

giovedì 1 luglio 2010

Non entro dalla porta, passo dalla finestra....

Premessa: c'è un emerito professore che si accinge a partorire il secondo frutto del suo genio; il termine della gravidanza è previsto per settembre prossimo; le doglie sono già iniziate, con l'annuncio di un momentaneo stop del suo blog per la revisione dell'opera. A pensarci bene, questo in prossima uscita è il terzo parto, visto che al primo libro ha fatto seguito la creazione del blog che mi ha aperto gli occhi su un mondo che non conoscevo. Perlomeno, dopo la lettura del libro ho scoperto quel blog, per cui per me è come fosse nato allora. Rompiglione come talvolta mi picco di essere, avevo preparato un commento al suo annuncio di tregua blogghistica (so che, forse, dovrei battere 'bloggistica', ma non mi piace; preferisco rovinare un termine inglese italianizzandolo). Senza falsi pudori mi era sembrato ben riuscito; un po' lunghetto, ma bellino. Come al solito, ho seguito attentamente le istruzioni, ho pigiato il tasto 'pubblica post' e la stramaledetta adsl mi ha pugnalato, cancellando tutto. Succede piuttosto sovente, ma finché sono brevi cazzatine sopporto: è quando le cazzate sono più consistenti e mi vengono proditoriamente cancellate, che mi abbrutisco e i miei teneri miagolii si trasformano in ruggiti feroci. Quando accade, le mie ragazze arrivano di corsa: "Cosa è successo?". Sempre ruggente: "Questa bip bip bip mi ha cancellato tutto". Aceto sulla ferita: "Eh, per una stupidata così... ci hai fatto spaventare...". Sono le volte che dò credito agli studi che danno poco peso al cervellino delle donne, pur riconoscendo, a mente raffreddata, che stupidate sono quegli studi, non le mie cazzate. Comunque, come detto nel titolo, a porta sbarrata finestra spalancata: a casa mia perlomeno ho il salvataggio continuo, per cui qualcosa si salva. E vado a riscrivere il post, per gioia vostra e per vendetta mia.

"Qualche giorno di tempo per rivedere il libro", così il prof annuncia la sua assenza momentanea dal blog, appunto per rivedere la sua opera, prima del 'ok si stampi'.
In una precisazione successiva anticipa che si tratterà di un libretto agile e risparmioso.
Ho capito: si tratterà di un sedicesimo in ciclostile, così suddiviso.
Prima pagina, copertina, con titolo e autore, come tutti i libri. Senza sovracopertina, ché il costo leviterebbe.
Seconda pagina: editore, stampatore, distributore e sede legale di queste tre categorie. Dovrebbe esserci anche la sede legale dell'autore, ma pare sia in una località dal nome impronunciabile; l'unica voce leggibile era 'paradiso', ma l'autore ha ottenuto di non metterla, perchè qualche malpensante l'avrebbe subito collegata a 'fiscale' e lui ha voluto evitare un superlavoro all'agenzia delle entrate, già così impegnata nella ricerca dei veri evasori. Gli altri.
Pagina tre: tutta dedicata alla citazione di enti e personaggi direttamente o indirettamente sponsorizzanti il capolavoro. E' piena zeppa di sigle, stampate in carattere 5 delia (è il corpo più piccolo stampabile a piombo, al computer si può rimpicciolire ulteriormente) per farcele entrare tutte. A me dicono poco, ma agli addetti ai lavori, queste sigle 'parlano'; eccone alcune: sbe msg tre bru let bert bon frat carf mel bram branc cuff vat mar bos bos2 ecc. ecc. fino al pieno pagina.
Quarta pagina: bianca, forse a simboleggiare un certo candore e per arieggiare un po' il peso dell'opera.
Quinta pagina: arititolo, ariautore, a caratteri invertiti. Titolo normale, autore cubitale, per evidenziare l'assenza di falsa modestia. Fondo pagina, in piccolissimo, ancora l'editore.
La sesta: bianca, perchè non va bene iniziare il testo da una pagina pari, che è sempre il lato b di una dispari e pare porti sfortuna.
Dalla settima alla quattordicesima, finalmente il testo!
Alla quindici è previsto, a tutta pagina, un promo per il terzo libro, che dovrebbe uscire non appena esaurita totalmente la vendita di questo secondo tomicchio.
Alla sedicesima c'è il cosiddetto profilo dell'autore, tutto falso, sia per sviare le ricerche dei pollastri acquirenti, inviperiti per avere pagato fior di quattrini un lavoro di otto pagine, quando con un euro o poco più potevano comprare un quotidiano di 54 pagine. Alla cieca, qualunque avessero scelto, sarebbe stato colmo di barzellette più ridanciane delle sue; e, al contrario delle sue, limitate a un piccolo mondo in sfacelo, quelle del quotidiano spaziano su tutto il terracqueo, alimentate dai nostri rappresentanti che da fuori territorio partoriscono le più atrocemente divertenti.
Dimenticavo, il falso profilo è legato anche al fatto di non fornire un filo di arianna alla già citata agenzia delle entrate, che invece di dare la caccia ecc. ecc.
In fondo alla pagina finale: a sinistra un codice a barre, falso anche quello per i già detti motivi; a destra, in carattere definibile micron, il prezzo.
Perchè micron?
Essendo egli stesso, ma per ora in misura ridotta, tendente alla presbiopia, ed essendo a conoscenza che presbiti sono la maggior parte dei suoi lettori, che oltre che presbiti sono notoriamente pigri (inforcare gli occhialini per leggere un prezzo? sarebbe come ammettere un piccolo guaio visivo e costringerebbe a cacciarli dal portaocchiali in coccodrillo, comprati dal vu' cunprà: una faticaccia!), questi leggono il prezzo con occhio sfocato e, come ridere, leggono (credono di leggere), faccio per dire, euro 3,60 e, avendoli in moneta, li porgono al libraiolo.
Questi, inizialmente distratto, va a mettere nel cassettino i soldi, poi, preso dal dubbio, li ricaccia e "Scusi, guardi che sono 36 euro tondi tondi".
Il buon senso, a quel punto, suggerirebbe: "Ah, ho letto male, tenga il libro, mi dia i 3,60; vado a sleccarmi un bel gelato alla salute dell'autore".
Invece: "Ah, ho letto male, ecco la differenza, buona giornata a lei visto che la mia l'ho già bruciata".

Il post era molto più ridotto, e se la dannata non me lo avesse cancellato, la vostra sofferenza sarebbe stata minima e il mio tempo dedicato ad altri giri d'orizzonte, sicuramente più soddisfacenti. Quanto al prof sa benissimo che una copia è già venduta (sarebbero state trenta, se una certa partita fosse andata come invece non è andata. Al prossimo fine campionato, al terzo tomo).