lunedì 7 luglio 2014

Cose così... (seconda parte)

Torniamo sulla Terra.
Peggio, torniamo in Italia.
Noi qui abbiamo avuto, e pochi lo ricordano, la nostra URI.
Eterea quanto basta, essendo nata dalla costola di un certo Marconi Guglielmo (non stiamo a sottilizzare sul fatto che gli uomini non partoriscono, e tanto meno dalle costole; c’è un precedente illustre, mai smentito, che troncherebbe sul nascere ogni contestazione in merito) nel 1924; inizialmente questa verginella aveva dovuto “accontentare” poche migliaia di italiani; successivamente ne aveva concupiti a milioni che, volenti o nolenti, erano stati avviluppati dai suoi abbracci, costretti per molti (troppi) anni ad ascoltare le sue ammalianti visioni virtuali, false e artatamente gonfiate.
Da subito nell'ambiente avevano fatto la loro comparsa le "veline", forme cartacee di indicazioni da seguire "senza se e senza ma"; quelle che in altri ambienti sarebbero state in seguito denominate "pizzinni". 
E poi, molto poi, mutate in veste umana, tanto coreografiche quanto formalmente inutili.
Sollevando il velo dell’acronimo, questa URI si svelava come Unione Radiofonica Italiana, ed era il primo tentativo di incanalamento di un settore ancora in fase embrionale.
Questa Uri nel 1928 perdeva la sua verginità partorendo una figlia, battezzata EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche).
La quale, rimasta teoricamente vergine, ma porcellona quanto la madre e anche di più, stava iniziando a costruire un carrozzone propagandistico a favore di un re e di un duce già bene inquadrati dalla Storia, sui quali ogni altra parola sarebbe superflua.


Anno 1938: tra i “Regio decreto legislativo” che venivano sfornati a tamburo battente, un paio sono rimasti indelebili, nelle tasche degli italiani il primo con zanne fameliche azzannanti i portafogli degli stessi. 
Il secondo: legge razziale avversa gli ebrei, onta su onta sul re, sul duce e, a cascata, su tutti gli italiani. 
Emanato nel settembre '38, fu abrogato a gennaio del '44, quasi alla fine di un lungo periodo nero (in tutti i sensi).
Neanche da commentare, tanto fu infamante.
Il primo r.d.l., emanato nel febbraio dello stesso anno, invece, merita una particolare attenzione, poiché dopo oltre 75 anni è ancora vivo e vegeto, immarcescibile e immutato nel tempo, passato in eredità intangibile alle figlie di quell’Eiar, a favore del quale fu emanato.
Si tratta del famigerato r.d.l. 246, appunto del 1938, una trentina di articoli, per buona parte ormai obsoleti per i cambiamenti avvenuti in questi 15 lustri.
Ma uno, il primo, si è salvato fino ai giorni nostri, inalterato nella forma e soprattutto nella sostanza.
Questo articolo recita, papale papale:
"… chi detiene uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione dei programmi televisivi è soggetto all’obbligo di corrispondere il canone di abbonamento alla televisione…".
Questo articolo, da allora, è la colonna portante di quello che è diventato nel tempo un carrozzone, comunemente denominato “mamma Rai”.
Sarcasticamente, essendo tale qualifica valida solo per pochi privilegiati.
Ma finiamo prima la storia delle discendenti della nostra URI primigenia.
Sua figlia Eiar fu cassa di risonanza del regime fascista fino al 1944, quando generò la RAI (Radio Audizioni Italiana).
(Guarda caso, lo stesso anno dell'abrogazione delle leggi razziali e della nascita di mamma Eiar). 
Che a sua volta partorì, nel 1954 (anno ufficiale di inizio delle trasmissioni televisive) una sigla omonima della precedente nell’acronimo, ma diversa nell’inquadramento di impresa.



Quindi sempre RAI, ma Radiotelevisione Italiana.
Dal filmato Luce del '38 alla nascita del video del '54, stessa emittente, stesso tono, stessa enfasi, stessa prosa curiale.
Le cronache parlano di circa 24.000 "abbonati" iniziali, probabilmente ignorando nel computo i "biglietti omaggio" a una serie di categorie benemerite, politiche militari religiose industriose, cui sarebbe stato offensivo chiedere un contributo. 
Essendo in seguito divenuta Società per Azioni, ogni anno è costretta a piegarsi alle forche caudine della pubblicità del bilancio.
Quello del 2013 segnalava, nel colonnino delle entrate, solo alla voce "canone", 1.751 milioni di euro, arrotondati per eccesso.
Tutte le voci del bilancio sono espresse in milioni, il che fa sembrare più 'dolce', in una lettura distratta, il loro peso reale.
In effetti la cifra esatta di quella voce, in quello specifico bilancio, è stata di 1.750.999.886,50 (unmiliardosettecentocinquantamilioninovecentonovantanovemilaottocentoottantaseivirgolacinquantacentesimi), che dà un'idea diversa e ben più robusta della cifra esposta in bacheca. 
A questi sono da aggiungere gli introiti pubblicitari e altre cifre dichiarate vagamente come “altro”, sempre in milioni di euro.
Ma la "tetta" più corposa è chiaramente quella degli “abbonamenti”.
Qualcuno dal ponte di comando di questo barcone aveva fatto partire una "velina"  urgente: 
Quadrare il bilancio”, subito, meglio se prima ancora.
Da qui la delega a un travet fantozziano, relegato in un sottoscala adibito ad ufficio, affinché provvedesse al recupero di quanto mancante alla quadratura di questo cerchio.
Il suo compito specifico consiste nel ricevere tutti gli elenchi telefonici d’Italia, aggiornati anno dopo anno, scorrerne tutti i nominativi, incrociandoli, uno dopo l'altro, con quelli degli “abbonati” presenti nel suo computer, alimentato a pedali in questo periodo di crisi e corsa ai risparmi.
Se non c'è corrispondenza tra gli assenti messi sotto lente e quelli in file, scatta l'allarme.


Fine seconda parte

giovedì 3 luglio 2014

Cose così... (parte prima)


Sarà capitato anche a voi…
O potrebbe succedere che al bar, in fila alla posta o in banca o in farmacia, o anche seduti su una panchina all'ombra di una quercia, o in sala d’attesa dal medico… insomma in qualunque luogo che inviti alla conversazione, esauriti tutti, ma proprio tutti, gli argomenti dello scibile conosciuto… potrebbe capitare, dicevo, di parlare del paradiso.
Del nostro, genericamente definito occidentale, accettato da chi ci crede con sue proprie motivazioni, respinto da chi non ci crede con almeno altrettante altre motivazioni, sappiamo poco.


Dovrebbe trattarsi di un luogo spazio/tempo vagamente definito dove chi ci arriva prega, canta, loda… per l’eternità.
Assistito amorevolmente da un esercito di angeli, dipinti dalla tradizione come biondi, capelli lunghi, lisci o a boccoli, occhi presumibilmente verdi o azzurri (non si riesce a vedere il colore poichè eternamente puntati verso l'alto), con visi e corpi vagamente femminili; e poi da puttini in odore di futura obesità, sostenuti da alucce da pulcino, che volteggiano ronzanti laudi e pettegolezzi, manco fossero zanzare.
Ma tutti assolutamente e rigorosamente asessuati.
Non uni- bi- o tri-, che darebbe la possibilità ai santi, ma anche ai beati, di passare piacevolmente il tempo che, come detto e risaputo, sarà eterno.
Né le sacre scritture né i vangeli né i racconti di chi ha visitato questo paradiso, dicono di qualcosa di alternativo alle preghiere, ai canti e alle lodi.



È pur vero che non ci sono veti assoluti e conosciuti al trovare anime (già “anime” dà un senso di incorposità che scoraggia in partenza) gemelle con cui trascorrere il resto… dell’eternità.
A meno di cambio delle leggi divine, senza poter divorziare e senza poter fornicare a piacere.
A pensarci, anche per poco, sarebbero gatti acidi.
Quando un negozio, un medico, un professionista, un tecnico… non sono all’altezza delle nostre aspettative, una volta andati a vuoto i tentativi di messa in riga, l’unica soluzione è cambiarli, trovare altro che ci soddisfi, foss’anche a prezzo più caro.
Così ho fatto per il paradiso.
Mi sono guardato intorno e ho trovato qualcosa di interessante: il paradiso islamico.
Per ottenerlo, a parte l’obbligo di essere credenti in Allah (akbar, ovviamente) e nel suo profeta Maometto, è sufficiente seguire gli insegnamenti coranici, e raggiungere una specie di buon punteggio con la loro osservanza.
Particolari bonus vengono assegnati a chi, in nome della fede, si fa saltare in aria facendo più vittime possibile tra gli infedeli (che siamo tutti noi, credenti o meno nell’altro paradiso); altri punti si acquistano rispettando il cosiddetto digiuno del ramadan (che poi: digiunare, non bere, non fumare, non assumere medicinali, non scopare, dall’alba al tramonto, con libertà di scatenarsi in tutto nelle ore notturne, a me pare un furto di punti; ma tant’è, così dice il loro vangelo e così sia).
Ai cosiddetti “beati” che ottengono l’accesso a questo paradiso, a parte le gozzoviglie che manco Trimalcione, c’è un punto che suscita particolare interesse: in paziente attesa e a disposizione totale di questi fortunati è prevista una schiera di URI.
Come tutti sanno, si tratta di ragazze, giovani, bellissime e (nota da brillìo di occhi virtualmente libidinosi, quasi porcini) vergini.
Altro che i nostri angeli...



Non solo, restano sempre con la stessa età, sempreverdi, e tornano vergini  dopo ogni amplesso.
Figure eteree, ma corporalmente e sessualmente ben definite.
Sterili secondo una versione; secondo altra lettura possono figliare, fermo restando che dopo il parto si ritrovano con l’imene intatto.
Queste Uri vengono assegnate ai meritevoli in base al “punteggio” ottenuto in vita (o in morte, come nel caso di quei simpatici kamikaze, affamati di figa tanto da morirne) e provvederanno a rendere l’eternità un’interrotta goduria.
In effetti 'sta faccenda, passato l'attimo di entusiasmo e vista con occhi da vivo, mi mette un pochino timore.
Ancora di più mi terrorizza il fatto che non ho trovato notizie di adeguamento dei “mezzi” a disposizione per fronteggiare un simile bend’Allah (sempre akbar).
Mettiamo che queste Uri, oltre a tutte le doti di bellezza e disponibilità loro attribuite, siano pure un pochino ninfomani, temo che la mia eternità durerebbe neanche un giorno…

Prossimamente la seconda parte di questo elucubrato