Anturium rossi |
Tra mercato dei fiori all’alba, consegne in campagna, in città e in ogni luogo umanamente raggiungibile, lei si stava guadagnando una onorevole rottamazione, mentre io mi ritrovavo ormai con un mazzo a galleria.
Prima della cessione del negozio, come previsto in caso del troppo che stroppia, era successo un fatterello, che inserisco tra gli incidenti, perché tale fu, ma non con la macchina.
In città era stato assassinato un personaggio importante.
Più che altro era conosciuto dagli addetti ai lavori del settore.
Per dire, se prima dell’omicidio, in un negozio o al mercato o per strada, qualcuno avesse chiesto chi fosse, sicurissimamente la risposta sarebbe stata un “boh!”.
Senza il ‘probabilmente’ che di solito rivela un dubbio sulla eventuale risposta.
Dopo l’omicidio, che fu atto di terrorismo, il suo nome era finito sulla bocca di tutti.
E, come sempre succede ‘dopo’, anche per chi non sapeva della sua esistenza, era stata colpita “una persona per bene”.
Superiamo queste considerazioni, che mi sono servite solo a riempire il post e ad allungarlo un pochino, non brevilineo come al solito.
Anche per evitare che l’editore mi rinfacci di risparmiare, come sempre, sulle parole, nonostante queste mi costino niente.
Al negozio era stata affidata la confezione di una corona di fiori, da una ditta importante, operante nel settore del defunto.
Ovviamente, punto d’onore sarebbe stato farla bellissima, anche perché la concorrenza nel ramo era spietata, e una figura mediocre sarebbe stata difficile da sopportare, commercialmente parlando.
A darci una mano, in caso di lavori impegnativi, c’erano alcune amiche, abitanti nelle vicinanze.
E c’era anche un collega di lavoro, che abitava in zona, che inizialmente era venuto più per valutare il reddito del negozio che per amore dei fiori in sé.
E così se una rosa era venduta a tot lire, era interessato al prezzo d’acquisto e al ricarico che andavamo ad applicare.
Ma lo faceva senza malizia, solo per una curiosità che rasentava il ficcanasaggio.
Comunque, vieni oggi vieni domani, anche lui si trovava ogni tanto coinvolto nelle confezioni o nelle consegne.
Va detto che, sia lui che le amiche, ci costavano un ‘grazie’, un caffè, talvolta una pizza, quando si fermavano ‘al lavoro’ fino a tarda sera.
Questo per evitare insinuazioni di ‘lavoro nero’ o cinese.
Tornando alla corona: l’avevamo ‘progettata’ enorme, piena zeppa di orchidee catlee e anturium rossi bianchi e verdi, con palme che avrebbero dato una circonferenza da brivido.
Una corona da far resuscitare un morto, anche solo per il tempo di vederla prima di tornare al suo riposo.
Per portarla avevo chiesto la station wagon del tabaccaio (anche lui coinvolto nella creazione), poiché sulla Simca non ci stava.
Ben fermata sul tetto, cavalletto di sostegno ripiegato all’interno, ero partito con il collega alla volta della camera ardente, predisposta nella hall della sua ditta.
Già all’arrivo, forze dell’ordine all’esterno che neanche alle partite di calcio: comunque più che giustificate, il periodo era veramente brutto.
Anturium bianchi |
Avevamo portato prima il cavalletto, adocchiando uno spazio bene in vista, in modo che l’opera d’arte desse buon onore al morto e ottima gloria al nostro negozio.
Piazzata con un po’ di fatica la corona, che, oltre a essere grande, era pure pesantina e scomoda da manovrare, si trattava di dare gli ultimi ‘ritocchi’: sistemazione delle palme, che durante il percorso si erano un po’ spostate, qualche fiore da rimettere in riga, controllo della fissicità del nastro…
Nel frattempo, i personaggi importanti erano diventati una piccola folla, per cui le operazioni di ‘sistemazione’ dovevamo farle senza mostrarci troppo, per non turbare la seriosità del momento.
Il collega sul retro della corona, e attraverso le palme guardava i presenti, cercando di individuare quelli conosciuti.
Io ero sul davanti, dove davo, discretamente, gli ultimi ritocchi dell’artista.
Lo avevo chiamato, sottovocissimo, forse per passarmi un accessorio.
Lo avevo chiamato talmente sommesso da essere convinto che potesse non avermi sentito.
Per fare prima ero partito veramente in quarta, come si dice, per andare a prendere ciò che mi serviva, spingendo con forza la testa tra le palme, che erano piuttosto rigide.
Aveva sentito.
E anche lui, sempre per fare prima, si era tuffato a testa prima per venire sul davanti e portarmi quanto chiesto.
Il diametro totale della corona, palme comprese, si avvicinava ai quattro metri, quindi con un’area complessiva da consentire gare di ciclismo su pista.
Ora, quante possibilità potevano esserci di uno scontro violento in tanto spazio disponibile?
Non sto a fare percentuali, perché quell’unica possibilità si era avverata.
Fiori di zucca |
Le nostre non si erano spappolate, ma avevano fatto un botto tale che le onorevoli persone presenti si erano voltate a guardare, magari nel timore che fosse in essere un attentato.
Eravamo finiti entrambi seduti in terra, dietro la corona, ciascuno cercando di rimettere a posto le rispettive scatolette craniche, così crudamente massaggiate.
La situazione era chiaramente drammatica.
Era divenuta tragica quando, dopo lunghissimi minuti, ci eravamo guardati, un occhio per volta, ed avendo preso atto di essere entrambi sopravvissuti, ci eravamo messi a ridere.
Quel ridere che talvolta è alternativo al piangere.
Per quanto soffocato, aveva provocato in qualcuno prossimo alla corona un “ssshhh!”, disapprovante la mancanza di rispetto verso il defunto e verso le autorità presenti.
Uscire, ormai, non potevamo più; per cui cercavamo di non guardarci, di fingere di prestare attenzione alle omelie che intanto avevano avuto inizio.
Purtroppo, ogni tanto, già il pensiero provocava la ridarella.
In quegli attimi di disattenzione, comunque, quel ridere soffocato, con un po’ di buona volontà da parte di chi sentiva, poteva essere scambiato per singhiozzi, repressi dal pudore della messa in mostra del dolore.
Dolore per il defunto, ovviamente, non per le nostre zucche ammaccate.